La Convenzione di Strasburgo: un accordo multilaterale sull’esecuzione della pena in uno Stato diverso da quello di condanna.
Il 21 marzo del 1983 viene firmata la Convenzione di Strasburgo avente ad oggetto il trasferimento delle persone condannate.
Tale accordo multilaterale vede la luce in seno agli Stati membri del Consiglio d’Europa, ma ad essa aderiscono anche Stati che non fanno parte del Consiglio, tra i quali figurano gli Stati Uniti.
Lo scopo che si propone la Convenzione è favorire la cooperazione internazionale in materia penale e il reinserimento sociale dei condannati, obiettivo questo realizzabile solo laddove il condannato espii la propria pena all’interno del contesto sociale di origine, nel quale, dunque, deve essere ritrasferito.
Principio generale affermato dalla Convenzione è che la persona che sia stata condannata sul territorio di un determinato Stato può chiedere di essere trasferito sul territorio dello Stato d’appartenenza per scontare la pena inflittale.
Tale richiesta potrà essere avanzata sia dallo Stato di condanna che da quello di esecuzione.
Ai fini del trasferimento dovranno essere rispettate specifiche condizioni: è previsto che il condannato sia cittadino dello Stato di esecuzione, che la sentenza di condanna sia definitiva, che la pena ancora da espiare sia almeno superiore ai sei mesi, al momento della domanda di trasferimento o indeterminata, è necessario il consenso del rappresentante, ove il condannato non sia autonomo a causa dello stato mentale o di salute o dell’età, che sia rispettato il principio di doppia incriminazione, affinché la pena possa avere una base legale anche in Italia, nel rispetto del principio di libertà personale (art. 13 Costituzione) e di legalità (art. 25 Costituzione) e, infine, un accordo tra i due Stati.
Eccezionalmente, il requisito della durata della pena inflitta può essere derogato con accordo delle Parti.
Al fine di assicurare il diritto di ogni condannato di fruire della possibilità del trasferimento, il contenuto della Convenzione deve essere oggetto di specifica informazione rivolta al condannato da parte delle Autorità procedenti nello Stato di condanna.
Il condannato dovrà esprimere il proprio consenso in maniera libera e consapevole, conscio di tutte le conseguenze che derivano dalla scelta. In particolare, il requisito del consenso evidenzia la finalità di reinserimento sociale cui mira la Convenzione che potrà essere perseguito solo se il condannato abbia manifestato la propria intenzione libera e consapevole di espiare la pena nel proprio luogo d’origine; diversamente, infatti, la decisione adottata dagli Stati al suo posto finirebbe col costituire una compressione della relativa libertà personale e morale e a sortire l’effetto opposto a quello cui la Convenzione ambisce.
La consegna del condannato allo Stato di esecuzione determina la sospensione della pena nello Stato di condanna e la definitiva cessazione nel momento in cui lo Stato di consegna attesta che sia terminata l’esecuzione.
Lo Stato di esecuzione è vincolato dalla natura giuridica e dalla durata della sanzione inflitta nello Stato di condanna, pertanto la pena non può subire alcuna modificazione sostanziale.
Nel caso in cui però la sanzione risulti incompatibile con la legislazione interna dello Stato di esecuzione, la Convenzione ha previsto un “adattamento” della stessa mediante un procedimento innanzi all’autorità giurisdizionale o amministrativa che andrà a conformarsi a quelle previste nello Stato di esecuzione per reati della stessa natura. E’ chiaro che questo procedimento non dovrà produrre l’effetto di un aggravamento della natura e della durata della sanzione già inflitta.
Altro procedimento che può essere intrapreso prima dell’esecuzione della pena è quello della “conversione” mediante il quale si sostituisce la sentenza di condanna adottata nello Stato di esecuzione con una decisione dello Stato di esecuzione.
Anche in questo caso è necessario che la pena non risulti aggravata: lo Stato di esecuzione è chiamato a valutare i fatti così come esposti nella sentenza di condanna, a non sostituire una pena detentiva con una pecuniaria e a dedurre il periodo di esecuzione già scontato dal detenuto a quello ancora da scontare.
Durante il periodo di esecuzione della pena, è possibile per lo ambo gli Stati sia commutare la pena che concedere la grazia o l’amnistia, in base alle norme vigenti nella propria legislazione; ma il solo Stato di condanna può giudicare su eventuali istanze di revisione proposte avverso la sentenza.
In quest’ultimo caso, la pena potrà subire ulteriori modificazioni o essere annullata per l’effetto dell’esito positivo del giudizio.
Emerge un obbligo degli Stati di preservare la situazione del condannato applicando un trattamento che non sia deteriore rispetto a quello previsto nello Stato di condanna, tuttavia, non può dirsi esistente un vero e proprio diritto del detenuto a subire l’applicazione di una pena meno afflittiva.
Anche la Corte EDU ha infatti chiarito che non integra una violazione della Convenzione, l’espiazione nel paese di trasferimento di una pena più lunga di quella originariamente irrogata a causa, ad esempio, di una diversa regolamentazione del beneficio della liberazione condizionale.