Con la riforma che ha interessato organicamente il decreto legislativo 74/2000 si è proceduto a modificare anche la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 decreto citato.
Tale reato era già stato modificato nel 2015 e rappresenta una fattispecie residuale rispetto alle due precedenti previste negli art. 2 e 3 del medesimo decreto, applicabile, cioè, solo laddove non risultino integrati gli elementi tipici di queste ultime.
La disposizione di cui all’art 4 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi inesistenti quando, congiuntamente, l’imposta evasa è superiore a 150.000 euro (con riferimento alla singola imposta) e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi inesistenti è superiore al 10% degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a tre milioni di euro.
Si tratta di un reato di natura istantanea, che si consuma al momento della presentazione della dichiarazione.
Essendo figura residuale rispetto alla precedente fattispecie, contenuta nell’art. 2, non si verificherà un concorso quando la condotta materiale è costituita dalla presentazione della medesima dichiarazione.
Le concrete figure di dichiarazione infedele, prese in esame più comunemente dalla Giurisprudenza, sono costituite dalla annotazione di voci attive inferiori rispetto alla realtà con evasione di un imposta superiore alla soglia prevista dalla legge; riduzione dell’imponibile con l’annotazione di costi inesistenti e mediante sottofatturazione.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione esula, invece, dal raggio applicativo della fattispecie in commento l’errore nell’utilizzo dei criteri di competenza e inerenza di ricavi e costi effettivamente esistenti.
L’intenzione legislativa che traspare dall’intervento di riforma è nel senso di un inasprimento sanzionatorio e correlativa estensione dell’ambito applicativo della fattispecie de quo.
Sotto il primo profilo, può osservarsi che, con la riforma, è stata innalzata la cornice edittale, attualmente fissata da 2 anni di reclusione a 4 anni e sei mesi.
Sotto il secondo profilo, invece, va osservato che sono state abbassate le soglie di punibilità precedentemente previste mediante un intervento sull’imposta evasa portata da 150.000 a 100.000 euro e mediante un intervento su elementi attivi sottratti all’imposizione, portati da 3 a 2 milioni di euro (com’era nella precedente versione della norma, vigente fino al 2015).
Alla fattispecie di dichiarazione infedele a partire dal 2015 erano stati aggiunti altri due commi.
Il comma 1 bis prevede che, ai fini della configurazione del reato, non si tiene conto della non corretta classificazione, valutazione di elementi attivi o passivi esistenti, in relazione ai quali i criteri applicati sono indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante a fini fiscali. Né si tiene conto della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
Al comma 1 ter, invece, era previsto che, fuori dai casi di cui al comma precedente, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette. Degli importi ricompresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica delle soglie di punibilità di cui all’art. 4.
Su tale ultima disposizione ha inciso la legge 157/2019.
Attualmente essa prevede che la punibilità è esclusa solo quando le valutazioni, complessivamente (e non singolarmente come nella previgente disciplina) considerate, differiscono da quelle reali in misura inferiore al 10%.
Anche in relazione al delitto di dichiarazione infedele, dunque, il legislatore ha mostrato un chiaro intento repressivo, fondato sulla modifica della cornice edittale, sull’estensione del relativo campo d’applicazione e, infine, sulla compressione del raggio operativo della causa di non punibilità prevista dal comma 1ter.
Sebbene sotto profili differenti, l’intento repressivo pervade tutto il sistema di modifiche operate.