La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.L’articolo 2 della Costituzione è norma aperta, contenitore da riempire all’uopo, con l’evolversi della società e il modificarsi delle interazioni fra gli individui, con il mutamento del sentire comune e il trasformarsi delle abitudini, con l’assorbimento di tradizioni altrui che diventano proprie e con la fusione di pensiero fra chi ha radici in un luogo e chi, invece, vi giunge e le pianti. Esso vuole tutelare e proteggere appieno, dunque, il libero sviluppo della personalità, che è qualcosa di inafferrabile e in perenne evoluzione, mai uguale, a sè stesso nel tempo e fra individuo e individuo.
Caposaldo del dettato Costituzionale e di ogni democrazia che possa, a ragione, dirsi civile, il riconoscimento di quei diritti che preesistono a ogni ordinamento giuridico e che concernono le libertà e i valori fondamentali della persona umana, si accompagna sempre alla loro inviolabilità. La compressione di questi diritti è infatti ammessa – e ammissibile – unicamente in via temporanea, in ipotesi eccezionali e previste dalla Costituzione, nel rispetto delle procedure da questa delineate e preordinate, nonchè dell’equilibrio fra ciò che è necessario a difesa della società e della convivenza fra gli uomini e ciò che invece è irrinunciabile e di cui neppure lo Stato, per nessuna ragione, può privare alcuno.
Ogni pena che non derivi dall’assoluta necessitàè tirannica, scrisse Montesquieu.Fra i diritti inviolabili si annovera anche il diritto alla sessualità.La Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo sancisce, all’articolo 8, il diritto di stabilire relazioni diverse con altre persone, comprese le relazioni sessuali e che il comportamento sessuale è considerato un aspetto intimo della vita privata di ognuno.Attualissimo oggetto di dibattito, il diritto alla sessualità, in ciascuna sua declinazione, riguarda ogni individuo, sia esso uomo, donna, fertile, sterile, eterosessuale, omosessuale, transessuale, genitore, libero o detenuto.
L’intimità è peraltro da ritenersi una flessione del diritto, anch’esso costituzionalmente garantito, di coltivare e preservare i legami familiari.E’ proprio la situazione dei detenuti l’argomento di questa trattazione, che vuole sottolineare, senza la presunzione di esaurire la questione, come la privazione di momenti e spazi di affettività con il partner, imposta dall’ordinamento italiano ai reclusi delle sue carceri, debba ritenersi una violazione ingiustificata del diritto alla sessualità, precipitato del diritto personalistico.
Arrestare, annientare per un periodo prolungato la fisicità dei rapporti di un detenuto significa concretamente menomarlo, amputarlo della sua identità, della sua personale e irrinunciabile forma di espressione di umanità, di sentimenti, di relazione, di comunicazione. E poichè non vi è dubbio che l’attività sessuale faccia parte del ciclo vitale dell’uomo, inibirla e interromperla può evidentemente ledere l’integrità e la salute, tutelate dall’art. 32 Cost., di chi ne sia privato, potendo in questi generare una serie di traumi psicofisici.
Fra questi la depersonalizzazione, la dissociazione, l’infantilizzazione, l’inaridimento emotivo, il disorientamento, la colpevolizzazione, fenomeni spesso causati dall’adozione, in dimensioni monosessuali, di una sessualità diversa dalla propria, indesiderata, inacettata, ma cui ci si sottomette e che si tollera pur di compensare e soddisfare quella necessità fisica – e talvolta anche emotiva – che è il contatto intimo.
Si consideri, in particolare, che trattasi di una situazione di isolamento dal mondo esterno, di debolezza dell’individuo, di promiscuità, di incertezza sul proprio futuro e di allontanamento dai propri affetti; pene accessorie, queste, che accompagnano ogni sentenza di condanna alla detenzione, sebbene nessun dispositivo le enunci esplicitamente.
Un contesto, quello carcerario, in cui la quotidianità coincide spesso, soprattutto fra i più fragili, con la sopravvivenza stessa dei detenuti.
L’annichilimento di sessualità e affettività in carcere contribuisce quindi, oltre alla manifestazione di episodi di omosessualità eteroimposta (anche detta omosessualità temporanea), anche al registrarsi di fenomeni di autoerotismo compulsivo e patologico, di stupri nonchè di atti di autolesionismo e suicidio fra i carcerati.
Questo avviene più sovente fra i soggetti condannati a pene detentive lunghe o molto lunghe, così che la privazione di una sessualità condivisa con un partner possa altresì ritenersi, in taluni casi, vera e propria lesione dello scopo rieducativo e risocializzante che, ai sensi dell’art. 27 della Costituzione, la pena deve avere, traducendosi invece, in concreto, in un castigo della mente e del corpo.In merito, alcuni detenuti del carcere di Carinola scrissero nel 2012: «se la pena ha solo una funzione punitiva e retributiva, allora ci sta tutto: privazioni, sofferenze, tortura, castigo e supplizio.
Se invece, le finalità che la Costituzione assegna alla pena sono da un lato quella di prevenzione generale e di difesa sociale […] e dall’altro quella di prevenzione speciale e di risocializzazione sociale del reo, allora l’affettività in carcere è uno degli elementi fondamentali del trattamento rieducativo».
A sottolineare l’importanza della questione, nel 2013, il settimanale Economistpubblicò un articolo il cui titolo fu, a tutti gli effetti, una condanna al sistema penitenziario inglese: No laughing matter.In quell’occasione la testata denunciò come la mancanza di previsione di visite coniugali private, cioè in assenza di guardie penitenziarie che vi assistessero, non fosse affatto un argomento ilare o di secondario rilievo.E analoga era – ed è – la situazione in Italia.
Le visite intime prive del cosiddetto controllo visivo sono, a oggi, consentite in India, Messico, Israele; in Canada gli incontri di questa natura hanno luogo, sin dagli anni Ottanta, in piccole case mobili posizionate all’esterno delle strutture carcerarie.
Sono invece trentuno, in Europa, gli Stati che permettono ai propri detenuti forme più private di contatto affettivo con il coniuge, il compagno, i familiari e persino gli amici, in assenza di contatto e controllo visivo da parte della polizia penitenziaria.
Fra questi la Svizzera, la Francia e l’Austria; in Spagna il diritto all’intimità è garantito nei confronti di coloro che possano documentare la sussistenza del rapporto (coppie sposate o costituite more uxorio) nonchè di coloro che comunque dimostrino una relazione stabile della durata di almeno sei mesi, precedente alla carcerazione o in costanza della stessa; le strutture carcerarie di Norvegia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi hanno edificato appartamenti in cui poter restare senza sorveglianza per un’ora, su richiesta del detenuto; la Germania prevede altresì, all’interno delle stesse strutture penitenziarie, zone appositamente adibite al soggiorno del ristretto, autorizzato dall’autorità giudiziaria e della durata di alcuni giorni, con il partner e gli eventuali figli.
Al contrario, in Italia, il detenuto può attualmente coltivare le proprie relazioni affettive, in particolare quelle intime, solo attraverso la richiesta al Magistrato di Sorveglianza e l’ottenimento di permessi premio ex art. 30 ter o.p., i quali gli consentono, a determinate condizioni oggettive e soggettive, di trascorre fino a 45 giorni all’anno fuori dalla struttura carceraria, nella propria casa e con la propria famiglia.Il diritto alla sessualità nelle carceri del nostro Paese è invero una questione dibattuta sin dagli anni Ottanta.
Già nell’86, con la mera proposta di legge n. 653, era stata avanzata l’idea di adibire talune celle, in ciascun istituto penitenziario, all’esercizio dell’intimità di coppia del detenuto, affinchè a quest’ultimo fosse consentito di proseguire i propri legami preesistenti, al pari di quanto avviene in Spagna, rendendo il regime di detenzione maggiormente a misura d’uomo.Numerosi, peraltro, sono stati nei decenni i ricorsi, da parte di detenuti, che hanno denunciato l’incostituzionalità dell’art.18 comma 2 dell’ordinamento penitenziario, proprio nella parte in cui prevede il controllo visivo dei colloqui fra gli internati e i familiari, in quanto impeditivo di rapporti intimi e sessuali con il coniuge o il partner.
Se, a oggi, Corte di Giustizia Europea, Consiglio di Stato e Corte Costituzionale non hanno ritenuto effettivamente sussistente un obbligo, in capo allo Stato, di consentire e predisporre lo svolgimento di incontri intimi all’interno degli istituti penitenziari, invero per ragioni pratico-formali più che di merito, queste hanno comunque mostrato il proprio assoluto favore e la propria totale apertura verso tale indirizzo.
A titolo esemplificativo si richiama una motivazione addotta dal Consiglio di Stato nel ’99, quando Alessandro Margara, direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, propose di introdurre apposite unità abitative all’interno degli istituti penitenziari, da adibire agli incontri fra i detenuti e le rispettive famiglie: spettava al legislatore il dovere di provvedere su quella specifica questione, adeguando la normativa penitenziaria alle esigenze naturali della persona.
La stessa Suprema Corte, con la sentenza n. 301/2012, pur valutando inammissibile, anche in quella circostanza, la questione di legittimità costituzionale, ha sottolineato che si tratti di una esigenza reale e fortemente avvertita, specificando come la mera elisione del controllo visivo non sia, da sola, sufficiente a consentire l’esercizio del diritto all’affettività dei carcerati; la Corte ha altresì sottolineato la necessità di predisporre, da parte del Parlamento, una disciplina ad hoc in tema di permessi d’amore, che ne stabilisca termini, modalità, limiti e durata.
Essa ha infine evidenziato il paragone con taluni altri ordinamenti, alcuni dei quali sopra già richiamati, che riconoscono al detenuto, a differenza di quanto avviene in Italia, una vita intima e sessuale intramuraria, nel rispetto degli articoli 2, 3, 28, 29, 30 e 32 Cost., 3, 8 e 12 CEDU e delle raccomandazioni delle Regole penitenziarie europee del 2006 e delle Regole di Bangkok del 2010.
Proseguendo lungo questa via, gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, istituiti nel 2015, peraltro a seguito della ennesima condanna pronunciata dalla Corte Europea dei diritti umani nei confronti dell’Italia, hanno proposto l’introduzione dell’istituto della visita, diverso dal colloquio, da svolgersi in forma riservata, senza cioè alcun controllo audio-visivo, in cosiddette stanze dell’affettività, comode e strumentali unità abitative, edificate o ricavate in ogni istituto penitenziario, le cui manutenzione e pulizia siano affidate direttamente ai detenuti che ne fruiscano per un adeguato e sufficiente lasso temporale.
Il progetto è stato però incomprensibilmente accantonato nel 2018, con una riforma dell’ordinamento che si è limitata a dire, sull’argomento, che i luoghi adibiti ai colloqui dovrebbero garantire ove possibile, una dimensione riservata.
Il disegno di legge n. 1876, all’art.1, tratta di affettività e sessualità stabilendo quanto segue:«Particolare cura è dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui.
Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi».In attesa che questa previsione assuma carattere concreto, in via sperimentale, a Opera, sono state predisposte le prime love rooms, ove i detenuti ammessi a seguito di una selezione operata dagli educatori della struttura, fra i più sofferenti la distanza da casa, possono trascorre un giorno intero con la propria famiglia, in quell’intimità che, per i ristretti, costituisce ancora un privilegio.
Nella prassi questa soluzione si sta però rivelando utile al solo fine (sebbene sia già molto) di ricongiungere, in quel ristretto arco di tempo, gli internati al loro nucleo familiare; non consente invece la soddisfazione del diritto alla sessualità di cui si tratta.La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.
Così si apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.In conclusione, per quanto fino a ora detto e nel rispetto di questa previsione e di quel travagliato e inesauribile concetto di dignità umana, principio di assoluta priorità, si ritiene irrinunciabile e non più procrastinabile, anche nel nostro Paese, una riforma che contempli questo aspetto, unanimemente ritenendosi la sessualità, oggi, una componente inalienabile della personalità di ognuno, da colui che si mostri ligio alle regole a colui che le abbia invece infrante.
E’ dunque necessario che al più presto il legislatore provveda a riempire quel recipiente che è l’art. 2 della Costituzione attraverso una modifica della Legge sull’Ordinamento Penitenziario, perchè esso possa finalmente, anche formalmente, accogliere appieno il riconoscimento del diritto fondamentale in oggetto, dimensione naturale e necessaria di ogni persona e non concessione da parte di uno Stato che pretende di essere uno Stato di diritto.