Cassazione, Sez. Fer. n. 36844/2019 del 27.8.2019: il MAE in caso di “rinnovazione” dibattimentale.
In tema di mandato di arresto europeo, la richiesta di consegna di un imputato, fondata sull’esigenza di assicurarne nuovamente la presenza in un processo, dovuta alla necessità di rinnovazione del dibattimento per ragioni interne allo Stato richiedente e non a cause attribuibili all’imputato stesso, è legittima purché vengano specificati i termini di durata della privazione della libertà personale o questi siano implicitamente desumibili dai meccanismi processuali in modo da consentire il controllo, da parte del giudice richiesto, della legittima prosecuzione della custodia o della sua estinzione.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte era stato emesso un mandato di arresto europeo non funzionale alla realizzazione di esigenze di natura cautelare legate alla commissione del fatto di reato, ma piuttosto di natura eminentemente processuali, ovvero per assicurare la partecipazione dell’imputata alla rinnovazione dibattimentale, a seguito del mutamento della persona del giudice.
La Slovenia aveva, quindi, spiccato un mandato al fine di ottenere la presenza dell’imputata per il tempo necessario alla nuova celebrazione del processo.
E’ pacifico nella Giurisprudenza di legittimità che il MAE possa essere utilizzato al fine di dare luogo a singoli atti istruttori specificamente individuati (ad esempio, espletamento di un confronto, interrogatorio, ricognizione formale).
Si è affermata la legittimità anche di un MAE emesso solo al fine di evitare che il processo si svolgesse in assenza dell’imputato.
Si è osservato che in questi casi non si verifica alcuna violazione dei diritti fondamentali dell’imputato, né sulla scorta del diritto costituzionale interno né CEDU.
D’altronde non è possibile per l’Autorità Giudiziaria dello Stato richiesto eseguire valutazioni discrezionali in ordine ai presupposti che hanno indotto l’Autorità dello Stato richiedente a emettere il mandato trattandosi semplicemente di uno strumento di cooperazione tra gli Stati in materia penale.
Una costante nelle decisioni adottate dalla Corte di Cassazione era costituita, tuttavia, dalla specificazione dell’atto che l’imputato si apprestava a compiere o l’indicazione del tempo necessario al relativo espletamento.
Nel caso affrontato dalla Cassazione l’imputata aveva già partecipato alla celebrazione del processo, ove era stata identificata e aveva esposto la propria linea difensiva, successivamente, citata per la rinnovazione del dibattimento non era comparsa, donde la decisione dell’Autorità di emettere un mandato di arresto europeo.
In sostanza l’imputata si vedeva nuovamente coinvolta nella rinnovazione delle attività processuali per una causa a sé non imputabile.
Il mandato spiccato, inoltre, non conteneva indicazioni circa le attività che essa si accingeva a compiere (ad esempio, la partecipazione ad un’unica udienza o ad una pluralità di esse e per un tempo, quindi, più esteso) né in ordine agli eventuali limiti previsti all’applicazione di misure limitative della libertà personale.
La legge n. 69 del 2005 prevede in particolare che la consegna possa essere rifiutata se la legislazione dello Stato richiedente non preveda limiti massimi di carcerazione preventiva da ritenersi congrui non alla luce della legislazione italiana, ma dei principi comuni europei, tra cui quello di contenimento della durata della detenzione preventiva entro un termine ragionevole.
Non si richiede necessariamente la fissazione di termini rigidi, ma quanto meno la sussistenza di meccanismi processuali tali da assicurare un controllo cadenzato da parte dell’autorità giurisdizionale.
Tali elementi essenziali ai fini della consegna del soggetto richiesto con il Mae, non erano stati accertati nel caso de quo: sebbene, infatti, lo strumento di cooperazione si fondi sulla fiducia tra le parti, ciò non esime lo Stato richiesto dall’effettuare delle verifiche tese ad accertare se il provvedimento rispetta i diritti fondamentali dell’uomo come garantiti all’interno della CEDU e dei Trattati dell’Unione Europea, contribuendosi solo in questo modo alla creazione di un’unica comunità fondata sui medesimi valori e principi fondamentali.
Sulla base di tali motivazioni la Cassazione, dunque, annulla la decisione e rinvia ad altra sezione per riesaminare la richiesta di MAE.