Le Sezioni Unite Civili con sentenza n. 19681/2019 hanno riaffermato la portata del diritto all’oblio, il quale, pur non ricevendo una diretta tutela costituzionale è ...

Le Sezioni Unite Civili con sentenza n. 19681/2019 hanno riaffermato la portata del diritto all’oblio, il quale, pur non ricevendo una diretta tutela costituzionale è corollario del diritto alla riservatezza e risulta protetto da diverse fonti interne e sovranazionali. 

In primo luogo, dalla Costituzione, che all’art. 2 tutela tutti i diritti inviolabili dell’uomo e che, nelle disposizioni successive, tutela il diritto alla riservatezza del domicilio, alla segretezza della corrispondenza, quali sfaccettature del generale diritto alla riservatezza. In secondo luogo, è dato cogliere una tutela ampia della riservatezza anche nelle disposizioni della CEDU, dove all’art. 8 prevede che ciascuno abbia il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza; diritto ribadito anche dall’art. 7 della Carta di Nizza, dove alla parola corrispondenza è stato sostituito il più attuale “comunicazioni”. 

Il diritto all’oblio, che ha avuto i primi decisi riconoscimenti negli anni Novanta, si esprime nella sua massima estensione in questo momento storico in cui Internet rappresenta un potente mezzo diffusione e conservazione di dati personali. Esso è stato definito dalla Corte di Cassazione come “il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”. 

Sempre più spesso il diritto all’oblio ha rappresentato uno strumento di tutela per coloro i quali sono stati sottoposti ad una condanna, o, più semplicemente, a indagini preliminari poi concluse con un provvedimento di archiviazione di cui sia stata data notizia sui giornali, cartacei od online. Talvolta tali notizie sono state oggetto di divulgazione a distanza di tempo rispetto alla relativa commissione oppure, nel caso di informazioni solo provvisorie su vicende giudiziarie in corso, sono state pubblicate senza ricevere aggiornamento in ordine a sopravvenuti provvedimenti favorevoli.

In entrambi i casi è facile immaginare il danno all’immagine e alla reputazione che subisce chi, di quelle vicende giudiziarie, ne era protagonista. 

Il quesito recentemente sottoposto alla Cassazione concerne la possibilità di rievocare vicende giudiziarie ormai concluse a carico di determinati soggetti ed in quali limiti, considerato che il diritto all’oblio riceve una tutela piena. 

La Cassazione ha chiarito che il diritto di cronaca differisce dal diritto di rievocazione storiografica, consistente nella rievocazione di fatti non più di attuale interesse, anche essa attività di primaria importanza nella ricostruzione della storia di un popolo, ma destinato a soccombere di fronte al diritto all’oblio (the right to be left alone, come denominato nelle primissime definizioni date del concetto), ritenuto il più delle volte prevalente, salvo che la notizia non risulti di nuova attualità o riguardi un personaggio pubblico. 

E’ stato chiarito che il diritto all’oblio è inscindibilmente collegato alla funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 comma 3 della Costituzione.  

La ripubblicazione di fatti di cronaca giudiziaria, ormai datati, potrebbe infatti vanificare l’intento risocializzante della pena espiata. L’individuo che, a seguito di una condanna, abbia subito la pena irrogata e seguito un processo di risocializzazione che gli ha consentito di ricostruire la propria vita personale e lavorativa non può essere leso nuovamente nella propria immagine e reputazione per fatti passati. 

Non è possibile, quindi, perpetuare nel tempo gli effetti di una condanna che il soggetto ha ormai scontato; non è possibile, dietro l’egida di un diritto costituzionalmente tutelato quale quello di cronaca (art. 21 Costituzione), sortire effetti punitivi deteriori di quelli riservati alla pena, strumento di esclusiva spettanza dello Stato. 

Non a caso il Testo Unico dei doveri del giornalista chiarisce all’art 3 co. 2 che il giornalista nel diffondere i dati identificativi di un individuo protagonista di fatti di cronaca giudiziaria deve verificare l’incidenza della pubblicazione sul percorso di reinserimento sociale personale e familiare, tenendo conto che la risocializzazione è un percorso complesso che può avvenire a fine pena o in maniera graduale. 

A fronte quindi di una rievocazione di fatti passati, la Cassazione impone la regola dell’anonimato: la notizia può avere diffusione, ma senza indicare il nome della persona protagonista di quella vicenda che subirebbe notevoli conseguenze in termini reputazionali.

D’altra parte, lo stesso problema si pone con riguardo alle notizie già presenti in Internet, in relazione alla quali il diritto di oblio può atteggiarsi quale diritto alla cancellazione o all’aggiornamento delle stesse, su cui la Cassazione, tuttavia, non si pronuncia.  

Nel primo caso visto, il diritto all’oblio intende evitare la produzione di un danno, in questo caso evita che la vicenda giudiziaria possa continuare a produrre effetti nel futuro. 

In relazione a questo specifico aspetto, si è pronunciata, tuttavia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha riconosciuto il diritto alla deindicizzazione dei dati, nel caso Google Spain, chiarendo che il trattamento di dati personali da parte dei motori di ricerca, ritenuti titolari degli stessi, può risultare contrastante con l’allora vigente direttiva n. 46/95  (sostituita poi dal Regolamento UE del 2016) considerava illegittimo il trattamento non solo se i dati sono inesatti, ma anche se sono inadeguati, non pertinenti, eccessivi o non aggiornati o conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, salvo che la conservazione non sia necessaria ai fini storici, statistici o scientifici.

Si tratta di una conclusione pienamente conforme con quanto stabilito dalle Sezioni Unite del 2019, i cui esiti potranno allora ritenersi estensibili anche in campo digitale, dove la lesione di immagine e reputazione si fa altissima.

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Federica Tartara

Short CV

Mi diplomo al liceo scientifico nell’anno 2003 e decido di iscrivermi alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova, frequento l’università al Corso di Laurea Magistrale con profitto e mi laureo nel 2009 con voto 104/110 discutendo una tesi di diritto processuale penale e diritto penitenziario.

Durante il percorso universitario partecipo al programma Erasmus e trascorro sei mesi ad Alicante in Spagna dove, oltre ad imparare la lingua, frequento corsi universitari superando diversi esami.

Dopo la laurea intraprendo la pratica forense in uno studio legale operante prevalentemente nel campo del diritto penale e nell’anno 2013 ottengo il titolo di avvocato. Inizio quindi a prestare la mia collaborazione presso un prestigioso studio di Genova conosciuto nell’ambito del diritto penale e nel 2022 decido di fondare il mio Studio Legale.
Nell’anno 2014 frequento il Master di II Livello in criminologia e Scienze psicoforensi presso L’Università degli Studi di Genova ottenendo un diploma di laurea.

Negli anni mi sono occupata di numerosi casi (anche di cronaca) fornendo assistenza sia nel campo del diritto penale che civile anche grazie alle diverse collaborazioni intraprese con colleghi operanti in diversi settori del diritto.

Ho prestato altresì attività nel campo della formazione partecipando come docente al Master in Investigative Sciences edizione 2021/2022 organizzato dal prestigioso Studio Legale Cataldi effettuando un approfondimento sul tema del “Codice Rosso”.

Alexandro Maria Tirelli

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L’avvocato Alexandro Maria Tirelli, ha completato i suoi studi ed il suo cursus honorum in Italia, diplomandosi dapprima al Liceo Classico “Massimo D’Azeglio” di Torino – palestra intellettuale di numerosi pensatori italiani – laureandosi in seguito in Giurispudenza presso l’Università degli studi di quella stessa città, ed ottenendo poi un Master in Diritto dell’Economia e dell’Impresa presso l’Università “Carlo Cattaneo” di Castellanza (Varese).

Dopo una breve carriera quale dirigente d’azienda nell’ambito dell’export, responsabile per l’area legale nei rapporti con il Venezuela ed il Brasile, Alexandro Maria Tirelli decise di intraprendere l’attività forense, iscrivendosi alla pratica ed abilitandosi alla professione dopo aver sostenuto l’esame di Stato. Oggi è iscritto nell’albo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata (n.3240), del Distretto di Corte d’Appello di Napoli, ed esercita la professione quale avvocato penalista, dopo avere svolto un biennio di praticantato presso lo studio legale del presidente della Camera Penale del Foro di appartenenza, l’esimio avv. Antonio Cesarano, oggi  dirigente OUA. Tirelli  ha maturato una significativa esperienza in diritto penale, fondando  3 importanti studi a  Napoli, Roma  e Milano e maturando le sue prime esperienze, partecipando ai più importanti maxiprocessi contro la camorra e la mafia. Ha avviato il proprio studio, unitamente ad altri professionisti, con sedi in Napoli, Roma, Milano, specializzandosi nei reati in materia di stupefacenti, riciclaggio di denaro, omicidio, bancarotta fraudolenta e colpa medica.
Grazie alla conoscenza dello spagnolo, portoghese ed inglese, Tirelli ha avviato collaborazioni continuative  con studi legali internazionali  di primo piano in USA,  Europa e in Sud America, iniziando ad occuparsi di problematiche di diritto penale internazionale (Mandati di arresto europeo, estradizione e di trasferimento di prigionieri alle autorità giudiziarie italiane).

Attraverso la sua rete internazionale lo studio legale è in grado di seguire casi penali nei paesi dell’ America latina  (Rio de Janeiro, San Paolo, Buenos Aires, Bogotà, Medellin, Cali) negli Usa (Miami, New York), nel Regno Unito (Londra) , Spagna (Madrid e Barcellona) e Portogallo (Lisbona). Fa parte della lista ufficiale degli avvocati raccomandati dalla ambasciata degli Stati Uniti in Italia e dal Consolato Britannico di Napoli.