L’attuale emergenza sanitaria ha imposto l’adozione di un apparato normativo idoneo a fronteggiare i rischi derivanti dalla diffusione del virus fra la popolazione, provocando il collasso del sistema sanitario nazionale, nonché la compromissione della salute pubblica, quale bene irrinunciabile e protetto dalla Costituzione all’art. 32.
Di fronte ad un fenomeno senza precedenti, la scelta del legislatore (o chi per esso) è stata quella di comprimere – o addirittura di sopprimere – per periodi di tempo predefiniti, ma prorogati di volta in volta altre libertà irrinunciabili, prima fra tutte, la libertà di circolazione, pilastro dell’ordinamento italiano ed eurounitario.
D’altronde, l’ammissibilità di una simile decisione deriva direttamente dalla Costituzione stessa che ne ammette la limitazione all’art. 16 nella parte in cui consente delle limitazioni previste dalla legge in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.
Posto che tale libertà possa subire temporanee compressioni, il problema che oggi si pone è la scelta degli strumenti adoperati dall’attuale Governo per apportare tali limitazioni, che, prescindendo da quella concernente la mera circolazione, di immediata percezione, ha riguardato, altresì, molti altri diritti contemplati nel Titolo I (Rapporti civili) della Parte Prima della Costituzione (Diritti e Doveri del Cittadino). Si pensi al diritto di riunirsi pacificamente (art. 17), al diritto di professare la propria fede religiosa in forma associata (art.19), agli inevitabili riflessi sui processi pendenti che hanno subito una forte battuta d’arresto (art. 24 e 111), alla limitazione della libera iniziativa economica (art. 41) e del diritto al lavoro (art.35), confinati ai soli settori considerati “essenziali”.
Deve rilevarsi come la decisione di comprimere tali libertà dovrebbe essere sottoposta al vaglio dell’unico organo costituzionale in grado di fornire il crisma della democraticità: il Parlamento della Repubblica.
A tal proposito è opportuno rimarcare che la stessa Costituzione prevede la competenza esclusiva dello Stato nella gestione della cosiddetta “profilassi internazionale” all’art. 117 co. 2 lett q.
Tale competenza viene, poi, ribadita anche dalla legge n.833 del 1978, istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale.
Di fronte ad un simile quadro normativo, è apparso quanto mai fuori luogo richiamare la competenza del Governo ex art. 78 della Costituzione, che legittima le Camere a conferire i poteri necessari al Governo, trattandosi di eventi eterogenei tra loro, di cui uno – l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione di una malattia infettiva – prevista e disciplinata dalla stessa Costituzione e, quindi, non bisognosa dell’applicazione analogica di una norma nata per disciplinare ipotesi dissimili.
Sulla base di tali premesse, si è ritenuto per più profili illegittimo il primo decreto legge adottato dal Governo adottato il 23 febbraio 2020, per una serie di ragioni connesse alla mancata fissazione di un termine di efficacia delle misure, per l’elencazione solo esemplificativa delle misure adottabili dal Presidente del Consiglio dei Ministri, i cui poteri – successivamente esercitati con lo strumento dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri -, decreto che, comunque, è stato successivamente quasi del tutto abrogato.
Ma è il successivo e spasmodico susseguirsi di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che ha suscitato le maggiori perplessità quanto alla relativa conformità costituzionale.
In primo luogo, essi si sono distinti per una formulazione confusa, contraddittoria, per l’utilizzo continuo di rinvii ad altre norme che rendono più difficile per il cittadino l’individuazione del labile confine tra ciò che è consentito e ciò che è vietato, con la possibilità di incorrere in pesanti sanzioni: prima la contravvenzione dell’art. 650 cp., sostituito successivamente da una grave sanzione amministrativa e da una contravvenzione di nuovo conio per chi fosse risultato positivo al virus o fosse stato sottoposto alla misura di isolamento domiciliare. L’emanazione di norme sanzionatorie suscita forti dubbi di legittimità.
E’ principio generale della materia penale, ma anche del diritto amministrativo sanzionatorio, che a fronte di una sanzione afflittiva come può essere la limitazione della libertà personale, ma anche l’applicazione di sanzione pecuniaria, il precetto debba essere preciso e determinato, in modo da poter orientare il cittadino. Diversamente non è possibile muovere un rimprovero nei confronti di chi ha trasgredito il comando. Inoltre, l’utilizzo dello strumento penale deve fondarsi necessariamente su una legge ordinaria o su un atto avente forza di legge, stante il principio costituzionale della riserva di legge, che, in definitiva, tutela il principio democratico.
Lo strumento del DPCM, invece, non ha forza di legge, si tratta di un atto normativo di fonte secondaria, in genere utilizzato per dare attuazione a disposizioni di legge.
E’ uno strumento, quindi, che sebbene utilizzato per comprimere libertà costituzionali, sfugge al vaglio di quegli organi costituzionali che normalmente sono deputati a realizzare una verifica di legittimità: il Presidente della Repubblica, il Parlamento e la Corte Costituzionale ex post.
Sarebbe stato opportuno, secondo alcuni, utilizzare lo strumento maggiormente garantista del Decreto del Presidente della Repubblica, o, a maggior ragione, adottare le decisioni contenute in quei DPCM nella forma del decreto- legge che, in quanto atto avente forza di legge, avrebbe vinto le obiezioni relative alla riserva di legge per quanto concerne i profili sanzionatori, ma soprattutto sarebbe stato posto al vaglio, seppur successivo, del Parlamento in sede di conversione, senza sacrificare le esigenze di necessità ed urgenza, che sono suoi presupposti peculiari, in danno della legittimazione democratica delle norme adottate. Il decreto legge, inoltre, sarebbe stato agilmente sottoposto al vaglio ex post della Corte Costituzionale sia quanto ai presupposti “formali” della necessità ed urgenza sia ai contenuti del provvedimento limitativo di diritti e libertà costituzionalmente protette.
Non pochi dubbi, quindi, lascia l’utilizzo ancora attuale di uno strumento come i DPCM, specie in questo momento in cui la sede elettiva della democrazia può tornare ad ospitare il dibattito legislativo.