La cauzione è un istituto di common law di antichissima matrice.
Essa costituisce, oggi, nei numerosi Paesi in cui è prevista, lo strumento attraverso il quale l’indagato ottiene l’immediato rilascio e la contestuale facoltà di attendere l’inizio del processo in stato non detentivo.
Tale beneficio si acquista attraverso il deposito di una somma di denaro stabilita ad hoc dalla competente autorità giudiziaria, ritenuta adeguata e proporzionale alla gravità del reato che si presume l’accusato abbia commesso, alle condizioni economiche di quest’ultimo, a eventuali obblighi assistenziali e familiari cui è tenuto, al suo trascorso criminale e giudiziario, al contesto sociale di provenienza, alle sue condizioni di salute e alla sua eventuale pericolosità sociale.
Trattasi, latu sensu, di una garanzia reale: nell’ipotesi di mancata comparizione al processo, infatti, all’accusato verrà comminata una sanzione pari alla cifra stabilita per la cauzione, così che quanto depositato non gli sarà dunque restituito e alla eventuale condanna si accompagni la perdita di una ingente somma di denaro.
In ogni caso, nei casi più gravi, se si ritiene sussistente il pericolo di fuga da parte dell’accusato, se vi sia concreta possibilità di inquinamento probatorio o se il soggetto, per le proprie qualità personali, desti allarme di reiterazione di condotte illecite, il giudice, audite le valutazioni delle parti, può sempre negare la concessione della cauzione.
Preliminarmente a ogni proposta in materia di cauzione, alcune premesse risultano indispensabili.
Innanzitutto non si possono trascurare i dati.
L’Italia è il Paese europeo che conta il più elevato numero di detenuti in attesa di giudizio, circa un terzo dei ristretti totali.
Ciascuno di questi, peraltro, comporta ovviamente un costo per lo Stato.
Entro il 31 gennaio di ogni anno, inoltre, il Ministero della Giustizia ha l’obbligo di depositare alle Camere una relazione contenente dati, rilevazioni e statistiche relativi all’applicazione, nell’anno precedente, delle misure cautelari personali, distinte per tipologie, con l’indicazione dell’esito dei relativi procedimenti, ove conclusi.
Nel triennio 2018-2020 emerge che i soggetti sottoposti alle misure cautelari del carcere o degli arresti domiciliari assolti o prosciolti siano stati complessivamente 12.583.
Dodicimilacinquecentottantatre persone.
Tale relazione evidenzia un dato sopra tutti: un totale di esiti assolutori e di proscioglimento a vario titolo pari al 10%.
Ciò significa che una misura su dieci è stata disposta nei confronti di un accusato poi non condannato.
Dunque dodicimilacinquecentottantatre persone ingiustamente private per mesi, o anni, dell’inviolabile bene della libertà personale.
Non si può poi ignorare l’aspetto connesso e intestino costituito dal trauma psicologico che una detenzione non necessaria comporta, nè tacere gli effetti – devastanti – che una carcerazione superflua riflette sulla vita di chi vi è sottoposto.
A poco più di trent’anni dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, troppi, secondo una folta dottrina, i tradimenti al testo legislativo attuati a opera della giurisprudenza.
E tutto questo ha luogo proprio nell’ambito del processo penale, il quale rappresenta il settore del diritto nel quale maggiormente si proiettano gli indirizzi di fondo dell’ordinamento costituzionale per quanto riguarda la disciplina dei rapporti tra Stato e cittadino, tra autorità e libertà, tra tutela dei diritti individuali ed esigenze di repressione.
Fra gli indirizzi di fondo del nostro sistema è invero d’obbligo annoverare il carattere di extrema ratio che la misura cautelare in carcere riveste.
Essa, di natura eccezionale, più di ogni altra foriera di una successiva condanna, può infatti essere disposta solo quando, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, ogni altra misura coercitiva o interdittiva, anche se applicate cumulativamente, risulti insufficente e inadeguata.
Nel nostro Paese, il cui sistema carcerario è peraltro in evidente sofferenza a causa del sovraffollamento della popolazione detenuta, sembrerebbe invece ormai un automatismo, uno strumento accessorio e conseguente al compimento di taluni reati.
Troppe misure, stando anche ai dati statistici, risultano infatti disposte anche in circostanze in cui non risulti un bisogno effettivo di ingresso in carcere e in cui, in particolare, altre soluzioni parrebbero invero più pratiche e decisive.
L’istituto della cauzione, dunque, potrebbe svolgere un importantissimo ruolo risolutivo dei problemi sopra indicati, utile a ridurre il numero di detenuti, a diminuire i casi di detenzione preventiva cui non segua una condanna, a garantire che gli accusati non si sottraggano, sebbene in stato di libertà, ai procedimenti penali che li attendono, con il rischio, se lo facessero, di perdere le ingenti somme “investite” per il rilascio in attesa di giudizio.
Si tratta di uno strumento illuminato, che ben risponderebbe, anche in Italia come già avviene in numerosi altri Stati, a esigenze etiche e pratiche al contempo.
Inoltre, alla determinazione del valore della cauzione generalmente si accompagna l’individuazione di limiti spaziali, il ritiro dei documenti utili a spostamenti ed espatrio, il prelievo di dna e impronte digitali, nonchè la definizione di prescrizioni relative al contatto con testimoni e persone offese.
In Italia la sua previsione verrebbe dunque a costituire, in concreto, una mera evoluzione delle misure cautelari già previste.
Queste verrebbero invero integrate da una nuova, ulteriore e stringente garanzia.
La violazione di tali condizioni, peraltro, comporterebbe un aggravio delle condizioni dell’accusato, ossia la regressione di quest’ultimo allo stato di custodia fino al processo nonchè, congiuntamente, il pagamento del valore della cauzione stessa.
L’assenza di una simile previsione deve dunque ritenersi un vero e proprio deficit del nostro sistema, una lacuna a cui bisogna al più presto supplire proseguendo lungo il già avviato percorso di riforma che il nostro ordinamento, definitivamente, necessita.