La sesta Sezione della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi, con sentenza n.18352/2020, sulle condizioni di accoglimento di un mandato di arresto europeo.
La Sesta sezione ha affermato che, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione, 15 ottobre 2019, Dorobantu, C – 128/19 e Corte di giustizia, 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft, C-220/18), qualora lo Stato emittente abbia fornito assicurazioni che la persona interessata non subirà un trattamento inumano e degradante, l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione può rifiutarsi di eseguire la richiesta solo quando, sulla base di elementi precisi, riscontri comunque il pericolo che le condizioni di detenzione siano contrarie all’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali UE.
Nel caso di specie, la Corte si pronuncia sul ricorso avanzato da parte di un individuo nei cui confronti le autorità giudiziaria portoghesi avevano spiccato un mandato di arresto europeo esecutivo a seguito di condanna divenuta definitiva. Sulla richiesta di mandato di arresto si era pronunciata favorevolmente la Corte d’Appello di Venezia ed è proprio avverso tale decisione che il consegnando presenta ricorso per cassazione.
La Corte analizza, ritenendolo assorbente, il terzo motivo di ricorso presentato: si deduce la violazione dell’art 18 comma 1 lettera n della legge 69/2005 (La corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi: […] se i fatti per i quali il mandato d’arresto europeo è stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena).
Secondo la Corte, l’operatività della norma richiamata è pur sempre subordinata alla possibilità materiale di giudicare il reato in Italia.
Quanto ai fatti per cui si procede, essi invece non erano concretamente giudicabili in Italia, in quanto, in relazione a tale fatto, nessuna richiesta al Ministero della Giustizia è pervenuta, condizione questa assolutamente necessaria per giustificare l’opportunità politica di punire un reato comune commesso all’estero in danno dello straniero.
Deve ritenersi applicabile nel caso di specie l’art 10 cp. secondo cui “se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro della giustizia, sempre che egli si trovi nel territorio dello Stato, si tratti di un delitto per il quale è stabilita la pena … dell’ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni e l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene”. Il ricorrente si trovava subito dopo la commissione del delitto, ai danni di una cittadina straniera, proprio sul territorio italiano. Il fatto per cui si procedeva era punito con pena superiore al limite edittale minimo di tre anni. La richiesta ministeriale non era stata, tuttavia, avanzata entro il termine di tre anni dal giorno in cui la persona in consegna si trova nel territorio dello Stato, termine di cui all’art 128 comma 2 cp. applicabile al caso di specie e non risultava, pertanto, più applicabile.
Diversamente da quanto prospettato all’interno del ricorso, il reato non era più concretamente giudicabile innanzi alle Autorità italiane.
Né poteva ritenersi spirata, nel caso di specie, la prescrizione della pena ai sensi dell’art 172 commi 1 e 5 cp. Secondo la Corte, in base alla nuova disciplina della procedura di consegna, in tema di MAE quando l’autorità straniera chiede la consegna di un soggetto per l’esecuzione di una pena o misura di sicurezza privative della libertà personale, occorre che la relativa richiesta sia basata su una sentenza di condanna dotata di esecutività e non di irrevocabilità, essendo la prima l’effettiva condizione essenziale per la cooperazione tra gli Stati, stante la difformità delle norme processuali all’interno dei singoli ordinamenti degli Stati membri.
L’ultimo profilo analizzato dalla Corte concerne il rischio che sia applicato nei confronti del consegnando un trattamento inumano e degradante. A tal proposito, la Corte sottolinea che sufficienti erano state le rassicurazioni formalmente comunicate dallo Stato di esecuzione della pena, non contestate e smentite dalla parte ricorrente. D’altronde, anche la Grande Sezione della CGUE aveva sottolineato che, anche laddove fossero state offerte rassicurazioni da parte dello Stato richiedente, lo Stato richiesto avrebbe potuto ritenerle non attendibili solo laddove fossero emersi elementi precisi di segno contrario. Solo, quindi in presenza di circostanze eccezionali, sarà possibile ritenere inattendibili le rassicurazioni dello Stato laddove emergano elementi di segno opposto che inducano a ritenere fondato il rischio di trattamenti inumani e degradanti in contrasto con l’art. 4 della Carta di Nizza.
Non emergendo, nel caso di specie, elementi di sorta la Corte rigetta il ricorso ritenendolo infondato.