La Terza Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in sede cautelare con la sentenza n.13660/2020 sul tema dell’assoggettabilità di determinate somme al sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
La Corte di Cassazione ha, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca, la Terza sezione ha affermato che possono essere sottoposte a vincolo le somme di denaro versate in un “fondo pensione” nella fase di accumulo della provvista, non essendo applicabile, nella specie, la disciplina di cui all’art. 545 cod. proc. civ.”
La sentenza viene resa all’esito dell’esame di un ricorso in Cassazione presentato avverso la sentenza del Tribunale di Palermo di rigetto dell’istanza di riesame: veniva confermato, quindi, il provvedimento emesso dal Gip di sequestro preventivo di somme provenienti dalla commissione di reati tributari. Più in particolare, si contestava agli indagati di aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti per simulare passività inesistenti. Erano state così sottoposte ingenti somme a sequestro preventivo, somme che si trovavano depositate presso un fondo pensione.
Avverso il provvedimento del Tribunale di Palermo viene quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, che il sequestro sia stato eseguito su somme che per loro natura non sono assoggettabili ad alcun atto di ablazione, perché destinate alla previdenza complementare.
A sostegno della tesi difensiva viene richiamato l’art.11 comma 10 del dlgs 252/2005 che prevede l’intangibilità delle somme destinate ad un fondo pensione durante la fase di accumulo.
Secondo la Corte occorre principiare dall’individuazione della disposizione di principale interesse: l’art 545 cpc contenente una elencazione dei cosiddetti crediti impignorabili, il citato art.11 del dlgs 252/2005 e, infine, l’art. 1923 c.c.
Dalle richiamate disposizioni discende la tesi, sostenuta dal ricorrente, secondo cui le rimesse in corso di accumulo in favore di un fondo pensione non potrebbero essere sottoposte al sequestro, in quanto intangibili.
A supporto di tale ricostruzione vengono richiamati, dal ricorrente e dal Tribunale del riesame, anche alcuni orientamenti giurisprudenziali su cui la Corte esprime la propria valutazione in ordine alla pertinenza e, quindi, applicabilità al caso di specie.
Nel 2008 le Sezioni Unite Civili avevano escluso l’assoggettabilità alla procedura fallimentare della somma costituente il prezzo di riscatto di una polizza sulla vita al momento dell’apertura del fallimento. Si trattava, infatti, di somme impignorabili ex art. 1923 c.c. e, oltre tutto, destinate a soddisfare una funzione prettamente previdenziale e, quindi, non riconducibili all’attività d’impresa.
La Cassazione esprime una certa titubanza in ordine all’applicabilità dei principi ivi espressi, sia perché si tratta di una sentenza emessa in sede civile, sia perché in quella sede si discuteva circa la natura personale o commerciale di un credito, onde assoggettarlo alla procedura fallimentare.
Il Tribunale di Palermo aveva richiamato, invece, altro precedente della Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione, la quale, adeguandosi al precedente orientamento, aveva effettivamente sancito il principio per cui i limiti alla pignorabilità dei crediti retributivi e pensionistici di cui all’art. 545 cpc sono applicabili anche al sequestro preventivo, in quanto espressione di principi generali, volti ad assicurare i diritti fondamentali e inalienabili della persona. Il problema ora era verificare se quel principio espresso in via generale fosse applicabile anche al caso specifico delle somme versate quale montante per l’erogazione poi di una pensione integrativa.
La Corte ribadisce che prevalente e condivisibile è l’orientamento in base al quale i limiti di cui all’art. 545 cpc siano applicabili anche al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, stante la necessità di tutelare gli interessi primari dell’individuo, sebbene ci siano altri precedenti che mostrino di aderire ad una ricostruzione diversa, per cui i limiti di cui all’art. 545 cpc non opererebbero in relazione al sequestro preventivo, quanto meno nel caso in cui le somme siano già state acquisite dal titolare del trattamento e si siano confuse col suo patrimonio mobiliare (in questo senso si è espressa Cassazione, Seconda Sezione penale 18 settembre 2017 n.42533).
La Corte ritiene comunque che gli orientamenti di marca profondamente garantista sopra menzionati non siano applicabili al caso di specie, in cui non rileverebbe affatto l’art. 545 cpc. che non sarebbe applicabile nel caso di fondi pensione ad accumulo.
Si tratta di strumenti finanziari che, infatti, pur avendo funzione latamente previdenziale, non sono legati a corrispettivi derivanti da un rapporto lavorativo. Inoltre, come la stessa espressione “fondi pensionistici integrativi” lascia trasparire, si tratta di forme di previdenza che vanno ad integrare quel nucleo essenziale di prestazioni, su cui si appunta l’intangibilità cui si riferisce l’art. 545 cpc.
A sostegno di tale impostazione, la Corte richiama altri suoi precedenti aventi ad oggetto sequestri preventivi di polizze assicurative sulla vita, ritenuti assolutamente legittimi, anche in forza della considerazione per cui non sono estensibili automaticamente alla materia penale quei principi espressi da norme civili.
La Corte, infine, quindi, assimilando il fondo pensione allo strumento dell’assicurazione sulla vita ne ammette la sequestrabilità preordinata alla successiva confisca e rigetta il ricorso presentato.