Con legge n. 157 del 2019, di conversione del d.l. 26 ottobre 2019, contenente disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili, sono state apportate numerose modifiche al dlgs. 74/2000, che contempla le fattispecie incriminatrici in materia tributaria.
In particolare l’art. 39 della legge citata è intervenuto con numerose modificazioni che possono essere sinteticamente riassunte in questi termini: sono state innalzate le cornici edittali delle principali fattispecie; sono state previste circostanze attenuanti; sono state abbassate le soglie di rilevanza penale dell’imposta evasa o degli elementi attivi sottratti all’imposizione; è stata estesa la confisca prevista dall’art. 240 bis cp.; sono state inserite alcune fattispecie penal-tributarie all’interno del catalogo di reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti prevista dal dlgs. n. 231/2001.
L’obiettivo che pare essersi prefigurato il legislatore con l’intervento in parola è quello di un complessivo inasprimento della sanzione penale di fronte alla realizzazione di reali tributari, anche mediante un potenziamento degli strumenti cautelari reali utilizzabili.
E’ opportuno notare, sul piano dell’efficacia dell’intervento normativo in parola, che, mentre le novità elencate entrano in vigore alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto (24.12.2019), l’estensione ai delitti tributari della confisca “allargata” si applicano esclusivamente alle condotte realizzate dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Si tratta di un provvedimento “ad urgenza differita” che potrebbe far dubitare della sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza necessari ai fini dell’adozione di un decreto legge, come richiesto dall’art. 77 della Costituzione.
E’ necessario passare in rassegna le modifiche apportate ad alcune delle principali fattispecie di reato contemplate all’interno del decreto legislativo 74/2000.
E’ possibile concentrarsi sulla figura prevista dall’art. 2 del decreto citato che prevede il reato “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.
La disposizione punisce chiunque, per evadere imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica elementi passivi fittizi.
Non sono previste soglie di punibilità, con la conseguenza che la fattispecie si consuma qualunque sia l’importo dell’imposta evasa.
La disposizione richiede sul piano soggettivo il dolo specifico, il fine di evadere le imposte, compatibile, secondo l’orientamento giurisprudenziale anche con la forma del dolo eventuale.
L’intervento di modifica del 2019 ha innalzato la cornice edittale, prevedendo la reclusione da 4 a 8 anni, laddove, invece, precedentemente la pena oscillava tra i 6 mesi e i 6 anni.
E’ stato, altresì, introdotto un comma 2 bis in base al quale la pena è più bassa quando l’ammontare degli elementi passivi indicati è inferiore a 100.000 euro.
Al di sopra della soglia indicata, il delitto è considerato ex lege più grave.
Secondo i primi commenti, si tratterebbe di una circostanza attenuante. Potrebbe addursi quale argomento la natura di circostanza attenuante, precedentemente prevista nell’ambito della fattispecie de quo, e applicabile alle condotte commesse fino al 14 settembre 2011, secondo cui “se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a trecento milioni si applica la reclusione da sei mesi a due anni”.
L’opposta tesi potrebbe comunque essere argomentata sulla base della considerazione che, all’interno del decreto legislativo n. 231/2003, all’art. 25 quinquiesdecies, è stato inserito il delitto in parola fra i reati presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti mediante il riferimento a due distinte ipotesi (quella semplice e quella “attenuata”), trattate, dunque, alla stregue di reati diversi con un trattamento sanzionatorio differenziato.
In base al nuovo sistema sarà, inoltre, possibile applicare la confisca di cui all’art. 240bis cp., solo quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore ai duecentomila euro.
Altra novità che ha interessato il delitto in parola è l’inserimento nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti di cui al dlgs.n. 231/2003.
E’ irrogabile la sanzione pecuniaria fino a 500 quote nel caso del delitto previsto dal comma 1 dell’art. 2 dlgs.74/2000. Mentre per la fattispecie prevista dal comma 2 bis è stata prevista la sanzione pecuniaria fino a 400 quote.
Anche dopo la riforma, dunque, la fattispecie in parola non presenta alcuna soglia di punibilità, trovando applicazione a prescindere dall’importo dell’imposta evasa.
D’altronde, come chiarito dalla Corte Costituzionale nel 2019, tale scelta dipende da una valutazione del legislatore appartenente all’area della discrezionalità e non sindacabile dal giudice delle legge se ragionevole e non arbitraria.
La mancata previsione di soglie di punibilità lascerebbe trasparire l’intenzione del legislatore di colpire in maniera forte un fenomeno diffuso, consistente nell’utilizzo di falsa fatturazione comprovante operazioni in tutto o in parte non eseguite.